Ho letto, su suggerimento di un amico, il libro dal titolo L’arte del tiro con l’arco ( J. S. Morisawua – Mediterranee-Roma- 1989), parla di questa disciplina e del suo rapporto con lo spirito e lo Zen. Leggendolo mi è tornato alla mente un altro libro letto alcuni anni fa La stele di Rosetta (R. Sollè, D. Valbelle – Pratiche Editrice 2001).
In questo secondo libro si racconta la storia della scoperta della stele di Rosetta nel 1879 da parte dei francesi nella città, appunto, di Rosetta in Egitto. Sulla stele è scolpita un’iscrizione in tre lingue diverse e il suo studio aprì, non senza difficoltà e peripezie, la strada per l’interpretazione della scrittura dei geroglifici.
In un giornale dell’epoca, la descrizione della stele era la seguente: “Questa pietra ha un’altezza di circa tre piedi per ventisette pollici di larghezza e dieci di spessore : l’iscrizione in geroglifici è composta da quattordici righe; le figure, la cui altezza occupano lo spazio di sei righe sono disposte da sinistra verso destra.(…) La seconde iscrizione, che inizialmente era stata annunziata come siriaca e poi come copta, è composta di trentadue righe di caratteri posti nello stesso senso di quelli dell’iscrizione superiore e si tratta evidentemente di caratteri coesivi dell’antica lingua egiziana(…) L’iscrizione greca, composta da cinquantaquattro righe, è interessante perché contiene parole come ftâ (dio) che non sono affatto greche, ma egizie; questo significa che indicano l’epoca in cui, malgrado gli sforzi dei Tolemaici, la lingua idiomatica degli egizi cominciò a mescolarsi con quella dei greci che gli avevano vinti, mescolanza che sviluppandosi, ha finito per formare la lingua copta, della quale si trovano preziosi residui nel copto moderno”.
Ecco… penso sia stato questo incrociarsi di scritture diverse in civiltà diverse ma anche per “classi” diverse (la scrittura dei sacerdoti, del popolo, del commercio) a richiamare il libro ed associarlo a quello sul tiro con l’arco.
Anche qui troviamo una civiltà millenaria (giapponese) incontrarsi con un’altra realtà, quella americana degli anni 50/60 del secolo scorso, con linguaggi diversi, da quelli “mistici” a quelli pratici e psicologici, ma tutti ‘parlano’ della stessa cosa: il tiro con l’arco. Così come dal convergere di linguaggi su uno steso tema, un editto del Faraone per la stele, è stato possibile affrontare la lettura dell’ alfabeto geroglifico, così mi è parso evidente che dal convergere di linguaggi diversi su di un altro tema, il tiro con l’arco, vi sia la possibilità di utilizzare gli antichi linguaggi per la moderna psicologia e, usando gli antichi linguaggi, recuperare all’oggi esperienze millenarie. Invito a leggere il libro ed a fare esercizio di traduzione dalla filosofia Zen alla psicologia moderna. In questa sede richiamo solo alcuni spunti come curiosità, che come tale può essere vista, solo prendendo sul serio ciò che lo Zen può tramandarci.
Guardando al dibattito tuttora aperto tra mente e cervello, tra fisico e psichico vi invito a degustare le seguenti parole dell’ Arcivescovo Omori Sogen Rotaischi (pag.9)
“Lo Zen è una disciplina psico-fisica che mira a trascendere la vita e la morte e a realizzare completamente (e veramente) che l’intero universo è il “Vero corpo dell’Uomo”… Noi crediamo che la realizzazione dello Zen, senza la realizzazione del corpo, non è altro che una vuota discorsività e le Arti marziali, senza la realizzazione della mente, nient’altro che un comportamento “da cani”.
Che Spinoza fosse un cultore di Karate?
Buona lettura e buona pratica di tiro con l’arco.
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